Pitagora

Presocratici

 Elefterios Diamantaras
Atene

La figura di Pitagora, filosofo, scienziato e legislatore, va inserita nel contesto storico della cultura del VI secolo A.C.
Il gruppo dei primi filosofi greci, comunemente chiamati presocratici, include

  
Parliamo ora di

PITAGORA DI SAMO


Cenni biografici

Figlio di un mercante di Tiro, Pitagora nacque a Samo nel 570 AC. Di famiglia sufficientemente agiata poté frequentare eccellenti maestri, i migliori cervelli del tempo: il musicista e poeta Ermodame, suo concittadino, gli scienziati Talete (ma appare poco credibile essendoci fra i due circa cinquant'anni di differenza) ed Anassimandro, entrambi di Mileto, e il filosofo moralista Biante di Priene. A diciotto anni fu affidato a Ferecide di Siro detto il Saggio che lo indusse ad indagare sulle leggi palesi ed occulte dei fenomeni naturali.
I due viaggiarono visitando Creta, le isole del mar Egeo e l'Asia Minore. Fu iniziato ai Misteri di Orfeo e di Demetra. Quando nel 548 AC il suo maestro morì,Pitagora, ancora adolescente, intraprese lunghi viaggi di studio. Giunse in  Egitto, meta comune dei saggi dell’antichità, quali Talete, Licurgo, Solone e Platone. Ebbe un’ottima accoglienza da parte del Faraone Amasis, a cui era stato segnalato da Policrate, tiranno di Samo. Fu iniziato ai Misteri di Iside ed Osiride. Si dice che vi abbia raggiunto i massimi gradi sacerdotali. Divenne esperto nella magia, nell’astronomia, nella geometria e nella scienza dei numeri. Soggiornò in Egitto per venti anni. Le truppe persiane di Cambise, che avevano invaso e devastato il fiorente e civile Egitto, lo catturarono e ne fecero uno schiavo di guerra
Dopo un lungo e drammatico viaggio attraverso il deserto, giunse a Babilonia ove fu tenuto prigioniero per dodici anni.
Lucio Apuleio, poeta, letterato latino ed iniziato ai sacri Misteri egizi, nella sua opera “Apologia” afferma che Pitagora ebbe contatti con i Gimnosofisti indiani [1]. Da questi certamente apprese la dottrina della trasmigrazione delle anime e della ruota delle esistenze (“Karma”).
Al suo ritorno a Samo creò una scuola per istruire i suoi concittadini. Il progetto fallì: ebbe un solo allievo, mentre la scuola locale per prostitute aveva molto successo. Abbandonò l’isola e giunse in Magna Grecia, sulla costa ionica, a Crotone. Qui fondò la sua Scuola Italica.

La scuola pitagorica di Crotone

Il più grande riconoscimento che la storia conferisce a Crotone, è la prolifica scuola pitagorica che il grande maestro greco fondò in una data stimata fra il 500 a.C. e il 600 a.C. Secondo la leggenda il filosofo e matematico scelse questa meta per il suo ateneo per volere divino. Proveniva da Delphi laddove la leggenda racconta che avesse interppellato l'oracolo.
Fu il Dio Apollo a predestinarlo a Crotone per trasmettere il suo sapere. Inoltre era a lui nota la cultura scientifica, medica, artistica e filosofica della città, e non ultimo il suo favorevole clima politico. Era infatti la tirannia a dilagare nelle altre città ioniche. Giunto a Crotone, Pitagora riuscì a guadagnarsi subito i favori del popolo grazie al suo sapere, che comunicava con orazioni pubbliche, su argomenti morali e sociali. Ottenne dalla città una magnifica costruzione all'interno delle mura cittadine, in marmo bianco, circondata da giardini e portici, destinata ad ospitare la sua Scuola.
La chiamò La Casa delle Muse. In questo nome si può dire che già ci fosse tutto il suo programma: le Muse erano divinità preposte alle Arti ed alle Scienze.
In questa scuola il maestro insegnò la sua sofìa,  di cui ricordiamo qualcuno dei punti salienti:
·       la metempsicosi, la teoria secondo cui l'anima vive anche dopo la morte corporea[2];
·       la dottrina escatologica, conseguente alla metempsicosi, secondo cui l'anima trasmigra in forme di vita diverse, anche animali e vegetali, perfezionandosi, fino a raggiungere Dio;
·       il dualismo, che pervade tutto il Cosmo [3];
·       la teoria secondo cui il numero è il principio di tutte le cose, fin quasi a costituire una specie di entità autonoma;
·       la costruzione dell'aritmetica in base 10 e
·       il suo famoso teorema. [4]
·       Introdusse la teoria dei contrari (limite, illimitato - pari, dispari - uno, molteplice - destro, sinistro - maschio, femmina - fermo, mosso - diritto, curvo - buono, cattivo - luce, tenebra - quadrato, rettangolo).
·       Secondo la tradizione, la scuola pitagorica sopravvisse al suo fondatore e contò più di 218 allievi maschi, che diffusero appassionatamente il suo pensiero ed il suo sapere scientifico in tutta la Grecia e la Magna Grecia.
·       Per secoli, anche dopo la caduta dell’Impero Romano, il Pitagorismo costituì gran parte della cultura di storici, letterati, poeti e governanti romani, oltre che dei Padri Cristiani.
·       Sempre la tradizione vuole che le pitagoriche più famose siano state 17 [5].


[1]  Erano degli iniziati, esperti in magia, matematica, astronomia e filosofia. Conducevano vita ascetica ed erano “scarsamente vestiti” (in greco: Gimnòs=Nudo).
[2]  Si tratta di una dottrina presente nei Misteri Orfici.
[3]  Con il termine Kosmòs  Pitagora intende l’ordine, l’equilibrio e l’armonia che pervadono e governano la Natura e l’Universo.
[4]  Il teorema dei quadrati del triangolo retto era già presente nella geometria dei Babilonesi e degli Indiani.
[5]  Ovviamente, Pitagora sosteneva l’assoluta parità dei sessi. Questa concezione è da considerarsi di origine egiziana. Per i Greci, invece, per i Romani, per gli Ebrei e gli altri popoli asiatici di cultura patriarcale la donna era priva di qualunque diritto: veniva considerata utile solo ai fini della riproduzione e del governo della casa.

LA STRUTTURA DELL’INSEGNAMENTO PITAGORICO


Dopo aver ascoltato le lezioni pubbliche, quelle per gli EXOTERICI, i candidati, sia uomini che donne, dopo un periodo di approfondita valutazione, venivano accettati a seguire un lungo periodo di noviziato (fino a cinque anni). Gli allievi, denominati ACUSMATICI, per i quali valeva il divieto assoluto di prendere la parola, apprendevano l’insegnamento del Maestro, che impartiva le sue lezioni nascosto da una leggera cortina. La loro istruzione riguardava esclusivamente argomenti di soggetto morale e sociale.
Il grado successivo è quello dei MATEMATICI, la cui formazione avveniva in presenza diretta del Maestro e riguardava soprattutto la Matematica, la Geometria, la Fisica e l’Astronomia.
Col terzo grado iniziava la Maestria degli ERMETISTI o SEBASTICI (Venerabili o Rispettabili), che venivano indottrinati su argomenti magici ed ermetici, nonché sulla cura delle malattie, anche mediante la magia.
Al quarto grado appartenevano i POLITICI. Ad essi venivano insegnati i segreti dell’armonia sociale, le basi di una legislazione ideale, la pratica della giustizia e l’interpretazione delle Leggi.
I politici si suddividevano in due Classi:
gli ECONOMICI ed i LEGISLATORI.


ETICA PITAGORICA


Nei "versi aurei" vi è una notevole parte dell'insegnamento etico Pitagorico. Essi non sono direttamente riferibili al filosofo, ma costituiscono una "summa" dei dogmi della "Scuola Italica". Ci sono stati trasmessi dai Pitagorici del periodo tardo che, spesso, ignorarono il divieto di porre per iscritto gli insegnamenti del Maestro.

¾ Venera innanzitutto gli Dei immortali e serba il giuramento.
¾ Onora poi i radiosi eroi divinificati e ai demoni sotterranei offri secondo il rito;
¾ Onora anche i genitori e a te chi per sangue sia più vicino;
¾ Degli altri, fatti amico chi per virtù è il migliore, imitandolo nel parlare con calma e nelle azioni utili. 
¾ Non adirarti con un amico per una sua colpa lieve, sinchè tu lo possa;
¾ Approfondisci lo studio di queste cose e queste altre domina: il ventre anzitutto e così pure sonno, sesso e collera;
¾ Non far cosa che sia turpe in faccia ad altri o a te stesso, ma, soprattutto, rispetta te stesso [1];
¾ Poi, esercita la giustizia con le opere e la parola;
¾ In ogni cosa, di agir senza riflettere perdi l'abitudine;
¾ Considera che per tutti è destino morire;
¾ Delle ricchezze e degli onori accetta ora il venire, ora il dipartirsi;
¾ Di quei mali, che per demoniaco destino toccano ai mortali, con animo calmo, senz'ira sopporta la tua parte pur alleviandoli, per quanto ti è dato: e ricordati che non estremi sono quelli riservati dalla Moira al saggio;
¾ Il parlare degli uomini può essere buono o cattivo; che esso non ti turbi, non permettere che ti distolga.
¾ E se mai venisse detta falsità, ad essa calmo opponiti. 



[1] Il Maestro riteneva importante non solo la cura della mente e dello spirito, ma anche quella del corpo. Egli stesso praticava regolari esercizi fisici. “Mens sana in corpore sano”: non si devono curare soltanto la mente o lo spirito, ma anche il corpo.
Il discorso etico non si esaurisce certamente con queste poche citazioni. Sono state riportate molte altre norme, non tutte di facile interpretazione, che regolavano, anche nei particolari, la vita quotidiana dell’adepto. Voglio ricordare soprattutto l’obbligo del silenzio sulle lezioni e sulla vita della comunità.
Era prescritto il rito mattutino del saluto al Sole. Erano obbligatorie le purificazioni con acqua di mare, o solo salata [1]. Erano obbligatori i pasti in comune. Era obbligatorio una specie di esame di coscienza (Psicostasia), quale strumento di valutazione del proprio livello etico e spirituale. Era vietato mangiare carne. Parimenti era vietato toccare o mangiare fave. Era obbligatorio il rispetto assoluto per qualunque forma vivente. Era vietata l’uccisione di animali.
Come già detto,  ai primi pitagorici era severamente vietato porre per iscritto gli insegnamenti del Maestro. La trasmissione della Sofìa avveniva esclusivamente  “da bocca ad orecchio”.
Ben più complesso sarebbe esporre, anche soltanto per sommi capi, la filosofia pitagorica.
Il contenuto del pensiero pitagorico è stato dedotto dalle opere di varia natura degli ultimi pitagorici (quelli del Terzo periodo, II Secolo dC).

LA TEORIA MUSICALE PITAGORICA

Giambico narra il seguente episodio.
Un giorno Pitagora passò di fronte all'officina di un fabbro, e si accorse che il suono dei martelli sulle incudini era a volte consonante, e a volte dissonante. Incuriosito, entrò nell'officina, si fece mostrare i martelli, e scoprì che quelli che risuonavano in consonanza avevano un preciso rapporto di peso.
Ad esempio, se uno dei martelli pesava il doppio dell'altro, essi producevano suoni distanti un'ottava. Se invece uno dei martelli pesava una volta e mezzo l'altro, essi producevano suoni distanti una quinta (l'intervallo fra il do e il sol). Tornato a casa, Pitagora fece alcuni esperimenti con nervi di bue in tensione, per vedere se qualche regola analoga valesse per i suoni generati da strumenti a corda, quali la lira.
Sorprendentemente, la regola era addirittura la stessa! Ad esempio, se una delle corde aveva lunghezza doppia dell'altra, esse producevano suoni distanti un'ottava. Se invece una delle corde era lunga una volta e mezzo l'altra, esse producevano suoni distanti una quinta.
In perfetto stile scientifico, dall'osservazione e dall'esperimento Pitagora dedusse la sua teoria della coincidenza di musica, matematica e natura. Più precisamente, egli suppose che ci fossero tre tipi di musica: quella strumentale propriamente detta, quella umana “suonata” dall'organismo, e quella mondana “suonata” dai cosmo. La sostanziale coincidenza delle tre musiche era responsabile, da un lato, dell'effetto emotivo prodotto per letterale risonanza dalla melodia sull'uomo, e, dall'altro, della possibilità di dedurre le leggi matematiche dell'universo da quelle musicali.
Poiché nelle leggi dell'armonia scoperte da Pitagora intervenivamo soltanto numeri frazionari, detti anche numeri razionali, i rapporti armonici corrispondevano perfettamente a rapporti numerici.
Pitagora enunciò la sua scoperta nella famosa massima: tutto è (numero) razionale.
Essa codifica la fede nella intelligibilità matematica della natura, ed è il presupposto metafisico dell'intera impresa scientifica dell’umanità, di cui Pitagora è stato appunto il padre fondatore.

Più precisamente, "ragione" non era altro che la capacità di esprimere concetti mediante un "rapporto" numerico, come testimonia l'uso dello stesso vocabolo per entrambi i termini, sia in greco (LOGOS) che in latino (RATIO). Poiché poi, per i greci, logos significava anche la "parola" stessa, il vocabolo finì per indicare la triplice coincidenza tra linguaggio, razionalità e matematica.

Dalla teoria musicale discende la teoria cosmologica pitagorica, il cui aspetto esoterico è stato tramandato da Platone nel difficile dialogo Timeo. Mediante misteriose costruzioni basate sui numeri 1, 2 e 3, che corrispondono ai rapporti numerici dell'ottava e della quinta, si arriva alla determinazione dei rapporti: armonici che regolano il moto dei pianeti. Il sistema solare è dunque visto come una lira a sette corde suonata da Apollo, in cui i pianeti producono i suoni che loro corrispondono, e che insieme costituiscono la musica delle sfere.
 L'aspetto esoterico del modello pitagorico rimase per secoli il punto di riferimento per la cosmologia, tanto che, ancora nel 1619, Keplero lo utilizzò nel suo strabiliante libro “L'armonia del mondo”.
In esso egli descrisse le leggi musicali che regolano il moto dei pianeti, specificando che nella sinfonia celeste Mercurio canta da soprano, Marte da tenore, Saturno e Giove da bassi, e la Terra e Venere da alti. E nella terza delle tre famose leggi di Keplero ricompare, miracolosamente, il rapporto di quinta. Il quadrato del periodo di rotazione di un pianeta attorno al Sole è infatti proporzionale al cubo della sua distanza da esso.
"In principio era la Ragione, e la Ragione era presso Dio, e la Ragione era Dio".
Così diremmo, se volessimo condividere l’analisi che il matematico Piergiorgio Odifreddi fa del pensiero pitagorico.
  

RITUALITA’ PITAGORICA


Il Fuoco è l’elemento obbligato di tutte le cerimonie rituali.
Esso costituisce il legame sottile e potente con le Forze Superiori.

Il Fuoco è da intendersi anche in senso figurato:
o   il fuoco del cuore,
o   il fuoco come Luce della Ragione che disfa le tenebre dell’ignoranza e della superstizione,
o   il fuoco come fraternità, sincerità e lealtà dei rapporti umani,
o   il fuoco come barriera insuperabile per le forze sotterranee,
o   il fuoco come strumento di evocazione magica.
Molte delle prescrizioni pitagoriche riguardano il Fuoco, sia in senso chiaro che in senso allegorico [1].

In sintesi, il Fuoco è il Principio di tutte le cose, come afferma Empedocle, filosofo ed allievo del Maestro.

I riti si celebravano dopo un’accurata purificazione lustrale con acqua di mare, oppure salata.


[1] Per esempio, era vietato “contaminarlo”  bruciando i cadaveri.

[1] La prassi della Purificazione, detta “Catartica”.  Veniva praticata nei Misteri di Zeus, a Creta.

Mozart's Adagio for Violin and Orchestra in E major K.261.


quaresima del 415

hypatia, sacra esto[1]


Rosario Consoli
R\L\Quatuor Coronati Emulatio 931 GOI, Firenze




Se un umano nasce donna, le cose si fanno difficili.



[1] Trad. Ipazia, sii maledetta. Ndr.



Bellezza, sapienza e forza morale.
Concentrate in un unico essere. L’una virtù conferma e accentua l’altra, esaltandone forma e sostanza nei contorni armoniosi di Ipazia.

v    Scienziata, filosofa, astronoma, matematica, musicologa, medico, vissuta intorno al quarto secolo in Alessandria d’Egitto.

Straordinario coagulo di virtù civili e morali, unite ad una mente votata alla ricerca ed alla conoscenza, di uno spirito mai pago di sapere, sembra non avere rivali nemmeno tra i più eclettici uomini di pensiero che abbiano segnato il tempo.
Tuttavia pare avvolta dalle nebbie di un passato, che fanno appena trapelare un simbolo di puro amore per la verità, la scienza e la ragione.


Le sue conoscenze, i suoi studi, le sue invenzioni

Ipazia, IV secolo d.C., figlia e discepola del grande Teofanae (Teothecno) astronomo, matematico e rettore dell'università di Alessandria. Superò di gran lunga il padre, insoddisfatta di quelle verità statiche che, per dirla col libro sapienziale, per lei non erano altro che fiumi che non ingrossano il mare e dal quale tornano a fluire in altri percorsi di conoscenza.

Filostorgio, storico della Chiesa contemporaneo di Ipazia, cosi scrive:

v    “apprese dal padre le scienze matematiche, ma divenne molto migliore del maestro soprattutto nell’arte dell’osservazione degli astri” … “introdusse molti alle scienze matematiche” … “divenne molto migliore del maestro soprattutto nell’arte dell’osservazione degli astri”

Altre fonti la descrivono di

v    “natura più nobile del padre, non si accontentò del sapere che viene attraverso le scienze matematiche a cui era stata indotta da lui, ma, non senza altezza d’animo, si dedicò anche alle altre scienze filosofiche”.

Coltissima, si dedicò alle opere di Diofanto, Apollonio di Perge, Claudio Tolomeo, Platone, Plotino, Euclide: Di queste menti illustri Ipazia si nutrì.


Sc        Scrisse tredici volumi di commento su “L’aritmetica” di Diofanto (matematico delle equazioni a coefficienti interi).

 Ipazia espresse un acume ed un’intelligenza fuori dal comune, non solo nel commentare, ma anche nello sviluppare intuizioni di completamento ed altre di originale natura interessandosi anche di meccanica e di ciò che oggi chiamiamo tecnologia.


Disegnò strumenti scientifici, tra cui un astrolabio piatto, un apparato distillatore e un idroscopio.

Tutto ciò che era esplorabile era oggetto di ricerca, studio e approfondimento.
 Disegnò strumenti scientifici, tra cui un astrolabio piatto, un apparato distillatore e un idroscopio.
Tutto ciò che era esplorabile era oggetto di ricerca, studio e approfondimento.

 Dicono di Lei:

v    “…Ipazia aveva scoperto qualche cosa di nuovo a proposito del moto degli astri ed ella rese questo suo nuovo sapere acquisizione accessibile agli uomini ed alle donne della sua epoca esponendo le sue nuove osservazioni in un’opera originale che intitolò Canone astronomico”. (Flogisto)

- Scrive Rita Levi Montalcini nel suo libro  “Le tue antenate…”:

v    “È stata l'unica matematica donna per più di un millennio. Bisognerà aspettare il Settecento per avere due scienziate di rango paragonabile: Maria Gaetana Agnesi e Sophie Germani”.

Vorremmo chiederci quanto il mondo sarebbe stato diverso se tanti spiriti liberi non fossero stati obliterati e ridotti al silenzio e la storia di essi occultata.

·       *Forse la storia dei liberi pensatori avrebbe avuto diversa evoluzione se lo straordinario percorso del libero pensiero non avesse subito l’arresto nelle fucina di Alessandria.
·       *Forse avremmo datato nel IV secolo anziché nel 1717 la nascita di una Muratoria “speculativa” che avrebbe preceduto quella “operativa” sovvertendone l’attuale cronologia.
·       *Forse la storia sarebbe stata diversa e ci saremmo risparmiati secoli bui di profonda regressione spirituale. Forse!
·       *Ma in ogni caso, certamente, i valori e i principi Universali sarebbero rimasti i medesimi, solo maggiormente efficienti in una società eticamente più evoluta.)

I contemporanei indicarono in lei la grande caposcuola del Platonismo, dopo Platone e Plotino.
Insegnò ad Alessandria per più di vent'anni, fino al 415 (giorno della sua tragica morte).

Ne        Nel De dono, l'allievo di Ipazia, Sinesio, aveva scritto che

«l'astronomia è di per se stessa una scienza di alta dignità, ma può forse servire da ascesa a qualcosa di più alto, da tramite opportuno verso l'ineffabile teologia, giacché il beato corpo del cielo ha sotto di sé la materia e il suo moto sembra essere ai sommi filosofi un'imitazione dell'intelletto. Essa procede alle sue dimostrazioni in maniera indiscutibile e si serve della geometria e dell'aritmetica, che non sarebbe disdicevole chiamare retto canone di verità».

Il contesto storico. Gli editti di Teodosio

Osserviamo ora qual’era il contesto storico/politico/religioso in cui si muoveva Ipazia.
 - Costantino (Flavius Valerius Constantinus) imperatore romano dal 306 al 337. Con lui inizia una nuova era in cui il cristianesimo si impone per essere accettato con decreto imperiale.
 Viene sancita l'alleanza con la Chiesa cristiana e, con essa, la fine delle persecuzioni e con gli onori riservati ad una  religione di stato.
- Giuliano (Flavius Claudius Iulianus) letterato e imperatore romano fino  al 363, da cristiano convertito al paganesimo, tentò senza riuscirvi di restaurare la religione dei padri col nome di “ellenismo”. Prese dai cristiani l’appellativo di Apostata e presentato, da essi, come un persecutore.In realtà Giuliano fu tutt’altro che un persecutore, poiché durante il suo regno illuminato vi fu grande tolleranza nei confronti di tutte le religioni, comprese le diverse dottrine cristiane. Intese sostenere anche  altre religioni, come l'Ebraismo, anch'esse (seppure in misura più limitata) discriminate dalla protervia cristiana. Tentò di restituire giustizia volendo ricostruire il Tempio di Gerusalemme, ma con poco successo. Tutti i tentativi di Giuliano di ricostituire una società aperta e tollerante non ebbero risultati apprezzabili, forse anche a causa della brevità del suo regno, finito il quale, il Mondo Pagano subì un’accelerazione nel suo ormai segnato decadimento.

 v    Teodosio, imperatore fino al 395, acuì la persecuzione contro tutte le religioni che non fossero la cristiana, con particolare accanimento al paganesimo, giudicato ufficialmente illegale in tutto l’impero.
 v    Fece chiudere definitivamente i pochi Templi rimasti operativi. 
v    La pena di morte divenne la condanna pendente sul capo di coloro che rifiutavano la conversione al Cristianesimo.

Emise ben 4 decreti nel merito:

v    Il decreto del febbraio 391: vietato entrare nei templi. Il 24 febbraio 391 l'imperatore Teodosio, detto dai cristiani "Il Grande", battezzato nel 380, emise il provvedimento legislativo "Nemo se hostiis polluat"(……………)
v     Il decreto del 16 giugno 391: estensione delle proibizioni
v    Il decreto di Aquileia,16 giugno 391, estende le disposizioni precedenti anche all'Egitto, dove Alessandria godeva di speciali privilegi relativi ai culti locali.
v     Il terzo editto del 391: distruggete i templi.
v     Il quarto editto del 392: pena di morte. Con questo editto si raggiunge un tasso di intransigenza così assoluta nei confronti delle tradizioni locali, da sancirne di fatto la loro fine con tutti i mezzi sanzionatori possibili, compresa la pena di morte.

L’editto prevedeva:
·                   la pena di morte per chi effettuava sacrifici e pratiche divinatorie
·                   la confisca delle abitazioni dove, con i Templi ormai distrutti, si svolgevano i riti.
·                   pesanti sanzioni per i decurioni quando non applicavano puntualmente la legge.
·                   la proibizione di altari, torce, agapi, offerte votive, divinità domestiche del focolare, corone,  ghirlande e ornamenti floreali,e quant’altro che rappresentasse solo un’intenzione di onorare divinità o simboli diversi da quelli cristiani. Un simbolo distrutto è una memoria azzerata.

 Teofilo, vescovo, ebbe parte decisiva, così come la ebbe Cirillo, Vescovo di Alessandria, nell’ultima violenta e cruenta azione nel cancellare il Neoplatonismo e il libero pensiero di cui Ipazia fu l’ultima strenua portatrice.

Unico uomo di potere ad alzare le difese contro il potere dei nuovi gerarchi ecclesiastici, Oreste, Prefetto di Alessandria e sostenitore di Ipazia..Ma era destinato a perdere nell’impari lotta.


La sapienza di Ipazia

In questo quadro grandemente persecutorio Ipazia di estrazione pagana, non scevra di quella religiosità teologica, filosofica e cosmogonica tipica del “pagus”, rappresentava un mondo aperto al trascendente e simboleggiato da miti dal profondo significato esoterico che sarebbe stato abbattuto dall’ormai vincente cristianesimo (o,meglio,da coloro che ne avrebbero rappresentato l’anima intollerante fino all’abbattimento fisico e alla distruzione di luoghi sacri e accademie filosofiche che fecero di Alessandria un vero faro di sapienza). Dopo Maria l’Ebrea (la prima scienziata/alchimista dell’antichità di cui si abbia notizia), Ipazia fu la prima donna a rappresentare un pensiero, un metodo, una concezione universale del cosmos di straordinaria modernità.

Pallada (detto Meteoro), poeta e letterato “greco antico”, dedica ad Ipazia un commovente epigramma

“Quando ti vedo mi prostro, a te e alle tue parole,
 vedendo la casa della Vergine tra le stelle,
infatti il cielo è rivolto ad ogni tua azione Ipazia santa,
 bellezza di parola, pura stella della sapiente cultura.”

Maestra di saggezza, fu in Alessandria riferimento di spiriti liberi, eruditi e popolani, con tutti parlando, a tutti rispondendo e con tutti scambiando conoscenza, insegnava imparando in un anelito insopprimibile ad una verità sempre più evoluta permeato di rigore scientifico e di una spiritualità che con esso, mirabilmente, intrecciava connessioni e attinenze di sottile fattura fino a disegnare la cornice di un quadro in cui armonizzare i colori di una sapienza complessiva dal carattere universale.
Razionalità e spiritualità convivevano in essa così come cultura pagana e cultura cristiana, pur tra loro in competizione, potevano  trovare punti di contatto purché esenti e non contaminati da assiomi di verità assolute e inamovibili.

Attribuire ad Ipazia la maestria delle sette arti liberali, principi di Fratellanza e valori universali di Tolleranza, Libertà e Uguaglianza, è come riconoscerle una sua naturale prerogativa, tanto connaturati erano in lei le massime virtù tra le quali (come le colonne Dorica-Ionica-Corinzia) Sapienza, Forza e Bellezza si esprimevano in solare evidenza. 

Ma tali virtù e tanto anelito alla conoscenza non potevano passare indenni in un’epoca in cui nella fiorente Alessandria già levitavano fermenti e contrapposizioni religiose tra Ebrei, Cristiani e neoplatonici.
Il pensiero libero ed in continua progressione di Ipazia destabilizzava le nascenti gerarchie religiose bisognose di affermazione e consolidamento in una chiusura assolutista in cui il dogma già era garanzia di immutabilità, privilegio di casta e controllo delle coscienze.
I venditori di verità rivelate rischiavano di vedere svilito il proprio prodotto concesso a buon mercato nel baratto con le coscienze. Le verità assolute davano già confortanti certezze sollevando gli animi da ogni necessità di ricerca risolvendo ogni “perché” e scansando il tormento del dubbio che già assurgeva al rango propedeutico di eresia.

L’epilogo inevitabile

Già il cirenaico Sinesio paventava la deriva fondamentalista e totalizzante della nuova religione e ne temeva il forte assetto dogmatico. Forse è per ciò che assurse alla carica vescovile senza nemmeno essere battezzato?

v    Forse lui stesso si adoperò affinché Ipazia abbracciasse la religione cristiana e, con essa, cristianizzare il paganesimo (o paganizzare il cristianesimo?) fondendolo in una emulsione che li contaminasse entrambi, lasciando immutata quella cultura ellenistica in cui si era formato.

v    Sognava, forse, il grande compromesso che, in ultima analisi, consentisse una pacifica convivenza tra diverse culture?

 Evidenti segnali di violento fanatismo si erano manifestati sotto la reggenza ecclesiastica del vescovo Teofilo (pare abbia ispirato, ammesso che ce ne fosse stato  bisogno, l’Imperatore Teodosio nell’emanazione degli editti persecutori) che aveva fatto distruggere gli emblemi monumentali della civiltà greco orientale assieme al “Serapeum” (tempio di Serapide) e la biblioteca che ad esso era annessa.

Alla scienza di Ipazia si oppone il potere religioso

Intollerabile appariva alla comunità cristiana più fondamentalista che la sapienza e la cultura fossero così grande patrimonio del mondo pagano.
Altrettanto intollerabili apparivano i miti pagani nel loro profondo significato esoterico.
E ancora più intollerabile appariva la molteplicità delle tradizioni pagane  con i loro diversi modi di vedere un comune significato.
Inaccettabile questa area di libero pensiero, strettamente legata alla cultura popolare che in diverso modo (dialettico) le aveva concepite, difficile da ingabbiare senza imporre un pensiero unico che potesse scardinare un pensiero unificante.

Ma chi era mai questa Ipazia, pagana, cosi estranea ai valori di un clero chiuso ai fondamentali diritti della ragione? Come osava, l’infedele pagana, indurre pensieri non strettamente connessi alle dogmaticità tanto funzionali al potere clericale?

In una società ormai completamente cristianizzata, il Vescovo Cirillo (poi assurto a santità), nel 412 divenne Patriarca di Alessandria. Le discriminazioni contro Ebrei e neoplatonici presero ancora una volta forma di persecuzione e il conflitto tra Stato (rappresentato da Oreste, prefetto della città ed amico/discepolo di Ipazia) e la Chiesa (rappresentata dal Patriarca Cirillo) assunse forme di scontro aperto.

Il rifiuto di Ipazia scatenò la folla

v    Ipazia fu invitata, presumibilmente nella Quaresima come prevedeva il rituale romano, a convertirsi al cristianesimo,  ma, ovviamente, rifiutò.
Questo rifiuto, nel rituale romano, veniva considerato un crimine da punire con la morte

Ormai considerata come sovversiva e dotata di arti oscure, cominciò a incamminarsi verso  una fine tragicamente atroce.
Negli anni che vanno dal 412 al 415 l’intolleranza clericale andò crescendo assumendo sempre più forme minacciose e virulente, innescata e alimentata dalla predicazione di Cirillo, che raggiunse il suo violento culmine nel 415.

Impensabile che Ipazia non avvertisse la morsa di intolleranza che si stringeva sempre più.
Troppo intelligente era per non capire quanto l’avversione si fosse tramutata in odio, troppo sensibile era per non percepire quanto gli sguardi belluini di fanatici potessero tramutarsi in atti mortali. Ma la forza del libero pensiero e la comunione con gli spiriti liberi erano almeno pari al coraggio di vivere ed agire oltre ogni paventata minaccia. 

Il massacro della quaresima[1]



[1] NdR. Anche Giordano Bruno fu ucciso durante una quaresima.
Nel Rituale Romano è ben spiegato il significato della Quaresima


v    Era l’8 marzo dell’anno 415. 
v    Quaresima di battesimo?
v    Quaresima cristologica?
v    Quaresima penitenziale?

Ipazia, indossato il suo mantello, scendeva per le strade per il consueto dialogare con la gente. In molti chiedevano, a tutti rispondeva, con tutti parlava. Fossero cristiani, ebrei o pagani, tutti avevano qualcosa da dire o una domanda da porre . Chiunque apprezzava o contestava affermando un’idea e ricevendone pacata risposta.


Il senso dell’”Agora” come luogo di libero scambio di idee trovava naturale compimento nella polis e di essa era l’espressione intellettuale più libera. Sentimenti, idee, concettualità si intrecciavano camminando su una linea di frattale che toccava e alimentava le menti e i cuori come linfa nutriente e benefica.

Il bene della conoscenza circolava e se solo un residuo di essa avesse raggiunto la coscienza di un uomo, sarebbe stato un altro passo sul percorso evolutivo.

Valeva la pena tutto ciò! Ma valeva anche la pena di morire per ciò? Certamente premoniva nell’odio serpeggiante di schiere di fanatici cristiani quanto questi, vittime del mostro dell’ignoranza, potessero diventare a loro volta persecutori e carnefici. Spesso il peggiore degli aguzzini è solo un servo intento a compiacere un padrone.

v    Ipazia doveva tacere, Ipazia era lo specchio della loro cattiva coscienza o, peggio, della sua totale assenza.

Cosi un gruppo di indiavolati da un cristianesimo deviato e distorto[1], avvicinò la donna.
 Una mazza ferrata la colpì alla testa, schegge affilate spuntarono a lacerarne le carni. Le furono cavati gli occhi e, nell’estremo accanimento, smembrata e fatta letteralmente a pezzi. Gli arti strappati dal tronco e il tronco squartato. Inceneriti i resti


[1] NdR. "deviato e distorto", ma coerente con le proprie leggi e decreti. 


Cos’altro dire?

Cos’altro se non sentirsi precipitare nel buio profondo vedendo spegnersi quella che per molti secoli a venire sarebbe stata l’ultima luce?Cos’altro rimaneva a quegli spiriti liberi che da essa traevano lumi di conoscenza se non abbandonare quel luogo ormai divenuto per loro funesto? Il faro si era spento,le ombre nere ormai dominavano.

Per Margherita Hack, il massacro di Ipazia segna l’inizio dell’oscurantismo.

Dice: «Sarebbe bastato lasciar vivi e liberi di studiare Ipazia e i suoi allievi per acquisire 1200 anni in più di progresso».

Non stentiamo a crederlo. Stentiamo invece a credere come,nel nostro tempo così libero e colmo di declamate benevolenti intenzioni, questa fulgida figura sia stata ignorata, come il silenzio l’abbia avvolta quasi una coscienza collettiva intenta alla sottile pratica dell’autocensura abbia inteso rimuoverla. Abbiamo forse voluto rompere lo specchio solo perché rimanda, sgradita, la nostra immagine? Forse che le nostre virtù sono così impalpabili di fronte al peso dei vizi? O forse perché preferiamo vedere i vizi altrui che, nella consuetudine, giustifichino i nostri? O forse perché ormai abbiamo dimenticato di essere parte attiva di quella politica, religione, costume le cui storture che vediamo esterne al nostro essere, avversiamo con semplici manifestazioni di principio?

v    Scendere nelle profondità del nostro io è la grande lezione di Ipazia.

Porgere le mani inermi per donare è il grande atto di amore dimenticato.

v    Recuperare secoli di oscurità ancora fortemente presenti è un atto di giustizia verso noi e gli altri.

Ci venga in aiuto il dolore mortale di chi lo ha provato e facciamo nostra l’esortazione:

Cos’altro dire?

Cos’altro se non sentirsi precipitare nel buio profondo vedendo spegnersi quella che per molti secoli a venire sarebbe stata l’ultima luce?Cos’altro rimaneva a quegli spiriti liberi che da essa traevano lumi di conoscenza se non abbandonare quel luogo ormai divenuto per loro funesto? Il faro si era spento,le ombre nere ormai dominavano.

Per Margherita Hack, il massacro di Ipazia segna l’inizio dell’oscurantismo.

Dice: «Sarebbe bastato lasciar vivi e liberi di studiare Ipazia e i suoi allievi per acquisire 1200 anni in più di progresso».

Non stentiamo a crederlo. Stentiamo invece a credere come,nel nostro tempo così libero e colmo di declamate benevolenti intenzioni, questa fulgida figura sia stata ignorata, come il silenzio l’abbia avvolta quasi una coscienza collettiva intenta alla sottile pratica dell’autocensura abbia inteso rimuoverla. Abbiamo forse voluto rompere lo specchio solo perché rimanda, sgradita, la nostra immagine? Forse che le nostre virtù sono così impalpabili di fronte al peso dei vizi? O forse perché preferiamo vedere i vizi altrui che, nella consuetudine, giustifichino i nostri? O forse perché ormai abbiamo dimenticato di essere parte attiva di quella politica, religione, costume le cui storture che vediamo esterne al nostro essere, avversiamo con semplici manifestazioni di principio?

v    Scendere nelle profondità del nostro io è la grande lezione di Ipazia.

Porgere le mani inermi per donare è il grande atto di amore dimenticato.

v    Recuperare secoli di oscurità ancora fortemente presenti è un atto di giustizia verso noi e gli altri.

Ci venga in aiuto il dolore mortale di chi lo ha provato e facciamo nostra l’esortazione:
 Cos’altro dire?

Cos’altro se non sentirsi precipitare nel buio profondo vedendo spegnersi quella che per molti secoli a venire sarebbe stata l’ultima luce?Cos’altro rimaneva a quegli spiriti liberi che da essa traevano lumi di conoscenza se non abbandonare quel luogo ormai divenuto per loro funesto? Il faro si era spento,le ombre nere ormai dominavano.

Per Margherita Hack, il massacro di Ipazia segna l’inizio dell’oscurantismo.

Dice: «Sarebbe bastato lasciar vivi e liberi di studiare Ipazia e i suoi allievi per acquisire 1200 anni in più di progresso».

Non stentiamo a crederlo. Stentiamo invece a credere come,nel nostro tempo così libero e colmo di declamate benevolenti intenzioni, questa fulgida figura sia stata ignorata, come il silenzio l’abbia avvolta quasi una coscienza collettiva intenta alla sottile pratica dell’autocensura abbia inteso rimuoverla. Abbiamo forse voluto rompere lo specchio solo perché rimanda, sgradita, la nostra immagine? Forse che le nostre virtù sono così impalpabili di fronte al peso dei vizi? O forse perché preferiamo vedere i vizi altrui che, nella consuetudine, giustifichino i nostri? O forse perché ormai abbiamo dimenticato di essere parte attiva di quella politica, religione, costume le cui storture che vediamo esterne al nostro essere, avversiamo con semplici manifestazioni di principio?

v    Scendere nelle profondità del nostro io è la grande lezione di Ipazia.

Porgere le mani inermi per donare è il grande atto di amore dimenticato.

v    Recuperare secoli di oscurità ancora fortemente presenti è un atto di giustizia verso noi e gli altri.

Ci venga in aiuto il dolore mortale di chi lo ha provato e facciamo nostra l’esortazione:

Oh! squarciatemi il velo, e l’inumana
storia m’aprite di que’ vili astuti;
date agli occhi di pianto una fontana!

La voce alzate, o secoli caduti!

Gridi l’Africa all’Asia, e l’innocente
ombra d’Ipazia il grido orrendo aiuti.

Gridi irata l’Aurora all’Occidente,
narri le stragi dall’altare uscite;
e l’Occaso risponda all’Oriente.

(V. Monti, Poesie, Il fanatismo)