KATICA ILLÉNYI - Jealousy Tango

Vi auguro che il nuovo Sole vi porti gioia e felicità


Uno


Due


Tre


Briganti

BRIGANTI


Rosario Consoli


Protagonista in tutte le contese possibili, siano esse di natura socio politica che di dominio territoriale, egli si pone anarchicamente "motu proprio" al servizio di sè stesso e della comunità cui è legato e poi, quando stimolato da situazioni contingenti, di un potere che sente vicino piuttosto che contro di esso.

Tra le anime del Brigante, prima ancora che egli ponga la sua opera nel brigantaggio post unitario, è quella umana che andremo ad esplorare, per quanto non sia possibile scindere le due anime, entrambe comunicanti e vicendevolmente sostenentesi, avendo esse matrice comune in un comune sentire.

Brigare, contendere, essere temibile spina nel fianco di ogni potere costituito , questo è il suo contrassegno.
Egli è libero di decidere se, come e quando intervenire secondo propria inclinazione ma sempre tenendo conto delle istanze della gente che popola il territorio in cui agisce. Lo contraddistingue la caratteristica dell'espoliazione forzata poichè questa sta nel paradigma della propria natura fortemente influenzata da un desiderio di rivalsa sociale.

Il Brigante è un uomo, un uomo inquieto, che nella sua genesi è figlio adottivo della miseria che gli è matrigna fino a condurlo anche ad imprese scellerate che ne faranno la storia primigenia per poi vederlo prender parte attiva negli eventi anti-risorgimentali, ove anche la "laicità" dei sommovimenti gli fu nemica.

Vi è in lui una religiosità che lo pervade, come se un sentimento quasi mistico lo impronti  ad una impudenza assolutoria che lo possa emendare da ogni malefatta che trovi giustificazione in una ineluttabilità    imposta dal Cielo.

Lontano dalla legalità, il Brigante punta direttamente alla sua matrice...la Giustizia. Per quanto strano possa sembrare egli ha nelle sue corde quell'anelito, destinato però a rimanere tale poichè la sua anima di espoliatore ribelle è dominante rispetto ad una pur alta concezione della Giustizia medesima.

Egli sa che, con buona pace della giustizia, il far le Leggi è privilegio del vincitore, quindi di colui  che per imporle ha pur dovuto  contendere, lottare...brigare per essere vincente nel conquistarsi lo spazio che a sua volta gli darà potere...quel potere e quelle leggi che ha sempre avversato e che lo porterà inevitabilmente alla sconfitta quando dovrà misurarsi sullo stesso campo della forza del potere costituito.

Mi piace ricordare quei bei versi di Giulio Stolfi, in Provincia del Reame:

Dall'antico quartiere delle rocche
per i cupi rifugi delle forre
dilegueranno gli accenti
degli organetti.
Nella piazza abbandonata
l'ombra dell'arco taglierà
malefica i riquadri del selciato
con il ricordo funesto
del brigante decapitato...

E' straordinario quanto e come la coerenza debba nutrirsi di contraddizioni fino a scatenare conflitti interiori la cui composizione sia possibile solo attraverso un atto di umiltà consapevole nel segno dell'ottenimento del massimo del possibile.

Infatti Egli trova legittimazione nella lotta anti-Risorgimentale così come anche ne trova la sua fine.
Si dirà che ciò sia stato il naturale epilogo di una parabola  che nella sua caduta non poteva che cedere alla forza potente del regno di Piemonte appoggiato da Francia ed Inghilterra, fornitrice, quest'ultima, delle navi che incrociavano in prossimità delle coste di Sicilia per proteggere lo sbarco delle camicie rosse.

Cesare Abba, biografo della spedizione dei Mille, così scriveva:
LA SICILIA ALL'ORIZZONTE
...La Sicilia! La Sicilia! Pareva qualcosa di vaporoso laggiù nell'azzurro tra il mare e il cielo, ma era l'isola santa! Abbiamo a sinistra le Egadi, lontano in faccia il monte Erice, che ha culmine nelle nubi... Come si riconoscono gli esuli siciliani! Eccoli là tutti a prora, affollati. In questo momento non vivono che con gli occhi. Saranno una ventina, di tutte le età. Miracolo se il colonnello Carini sbarcherà vivo, se non gli si romperà il cuore dall'allegrezza...

Contraddizione fulminante tra emozione di    orgogliosa appartenenza e aneliti unitari, contrasti del cuore e della mente dai colori intensi delle gente del meridione!
....................................

Il successo della spedizione dei Mille consentì al Regno di Sardegna e Piemonte, di predare il Mezzogiorno  delle grandi ricchezze che deteneva e, contemporaneamente, inrterropmpendo un percorso virtuoso che faceva di quel regno uno dei più moderni ed efficienti dell'intera Europa. Si innescava così quel fenomeno che conosciamo come "La questione Meridionale". Proprio così, impoverimento del mezzogiorno la cui annessione, col sistema unitario, non tenne in alcun conto della peculiarità del Meridione tanto che la cupidigia  nun fu estranea   agli eventi,  pur trainata (o giustificata) dal più nobile sentimento di far della penisola una Nazione.

L'intervento al Parlamento del Deputato Duca di Maddaloni,  ben sintetizza la situazione:

I Piiemontesi colonizzano:
QUESTA E' UN'INVASIONE!
La loro smania di subito impiantare nelle province napoletane quanto più si poteva delle istituzioni del Piemonte, senza neppure discettare se fossero o no opportune fece nascere sin dal principio della dominazione piemontese il concetto e la voce "piemontizzare".                                                    Intere famiglie veggonsi accattar l'elemosina; diminuito, anzi annullato, il commercio; serrati i privati opifici. E frattanto tutto si fa venir dal Piemonte, persino le cassette della posta, la carta per i dicasteri e per le pubbliche amministrazioni. Non vi ha faccenda nella quale un onest'uomo possa buscarsi alcun ducato che non si chiami un piemontese a disbrigarla. A' mercanti del Piemonte dannosi le forniture più lucrose: burocratici di Piemonte occupano tutti i pubblici uffizi, gente spesso ben più corrotta degli antichi burocratici napolitani. Anche a fabbricare le ferrovie si mandano operai piemontesi i quali oltraggiosamente pagansi il doppio che i napoletani. A facchini della dogana, a carcerieri, a birri vengono uomini di Piemonte. Questa è invasione non unione, non annessione! Questo è voler sfruttare la nostra terra di conquista. Il governo di Piemonte vuol trattare le province meridionali come il Cortes ed il Pizzarro facevano nel Perù e nel Messico, come gli inglesi nei regni del Bengala.

11/09/1860     L'esercito piemontese, comandato dal generale Cialdini, entra nel territorio pontificio, invadendo la Romagna e le Marche. L'azione, decisa dal Cavour, ha lo scopo di evitare la proclamazione della repubblica nel sud e un eventuale tentativo di Garibaldi di proseguire verso Roma per conquistarla.
                                                                       
"Non è questa l'Italia che volevo...!" Ebbe a dire  il Garibaldino Massimo D'Azegio e l'"obbedisco" del repubblicano Garibaldi, scaturito da necessità di non poter fare altrimenti,  consegnò i territori al Regno di Sardegna e Piemonte.
In tale situazione la Briganteria mutò in Brigantaggio (termine convenzionalmente usato per identificare la Briganteria post unitaria).  In questo quadro Il Brigante si era creata un'identità socio politica e ciò lo rendeva gradito all'ormai ex Regno Borbonico, pur avendolo anch'esso precedentemente combattuto. Una forma di Brigantaggio Partigiano conferì dignità   al Brigante, non più isolato in frammenti di piccole bande  ma in un sentire collettivo  che dava altra misura al proprio essere.
Confluirono tra le fila dei Briganti contadini in miseria, renitenti alla leva, uomini di cultura, sacerdoti, e quanto altro rappresentasse il sentimento popolare. Il marchio del Brigante, per questi, divenne segno distintivo di un anelito, di una speranza senza più i confini dell'utopia.  Il sogno di mantenere l'identità del meridione ed in esso continuare a riconoscersi, faceva il paio con quell'Italia federale a cui aspirava il futuro Gran Maestro Gariballdi che tutto fece per dare al Meridione quel minimo di diritti cui agognavano :

- Nel maggio 1860 abolisce la tassa sul macinato.
- Nel giugno dello stesso anno decreta l'assegnazione delle terre.

Una tiritera, nella Sicilia che vide lo sbarco dei Mille, così recitava:

                              Vulemu a Garibardi           
                              c'un pattu: senza leva.                
                              E s'iddu fa la leva                       
                              canciamu la bannera.                            
                              Lallararera, lallarallà         

Ma Garibaldi avendo chiesto e non ottenuto dal re un anno di governo nell'Italia meridionale, vede sfumare l'efficacia dei propri decreti e parte deluso per la sua isola: Caprera. Reca con  sè solo un sacco di sementi, uno stoccafisso involtato in cartapaglia e tanta amarezza.   

Torniamo, ora, alla Briganteria. La Partigianeria Brigantesca era intollerabile per un Regno appena costituitosi e La repressione fu implacabile e furiosa: ci vollero più di 600.000 soldati,   per domare il Brigantaggio, ma solo quando la forza dell'ideale unitario fu soverchiante grazie anche all'appoggio di stati esteri che per ragioni diverse tale lo volevano. Ad esempio, in Sicilia, gli interessi Inglesi erano di una notevole entità tanto che, per dare giusta misura agli eventi, la protezione delle Ducee di Bronte, appartenenti all'ammiraglio Nelson, richiese una forte repressione dei Carbonai ad opera di Nino Bixio.
Tale evento vide la fuga degli insorti nelle selve etnee e ciò indusse il Luogotenente a compiere una strage di innocenti CAPZIOSAMENTE ritenuti fiancheggiatori. L'appellativo di "belva" attribuitogli dalla gente di Bronte fu il contrassegno di quella sciagurata azione e ciò non potè che aggiungere altra e più forte acredine alla lotta post unitaria della Briganteria.

 Ma le fuga degli insorti indusse il luogotenente   a perpetrare una strage di innocenti ritenuti fiancheggiatori, guadagnandosi l'appellativo di "Belva" , Pagina oscura, questa, che aggiunse altro motivo alla lotta post unitaria del Brigantaggio.

Dal gennaio all'ottobre del 1861, si contarono nell'ex Regno delle Due Sicilie 9.860 fucilati, 10.604 feriti, 918 case arse, 6 paesi bruciati, 12 chiese predate, 40 donne e 60 ragazzi uccisi, 13.629 imprigionati, 1.428 comuni sorti in armi...
La coscrizione obbligatoria per 7 anni, poi, fece il resto: i renitenti alla leva, in Sicilia,  andarono ad infoltire la Briganteria che, in tali contingenze, si rafforzava e risaliva la Penisola seguendo le linee dell'appennino, dall'Aspromonte sua roccaforte, in su.  Ma, come anzi detto, non potè che soccombere e lasciare così il posto al singolo Brigante che ormai avrebbe indossato l'abito del Bandito.  
Salvatore Giuliano fu forse l'ultimo Brigante  e il primo bandito a segnare una nuova era.









La foto l'ha scattata Anna in Oplonti





PROPOSTA  DI  RELAZIONE PER IL CONVEGNO DI FIRENZE DI APRILE 2017
 
UNA  BIOPSICOSINTESI  DEL MONDO: 

COOPERAZIONE   E  CONNESSIONE 
SECONDO IL PARADIGMA A RETE DI  FRITIJOF CAPRA


Anna Manfredi
del Centro di Napoli





  • La tragica esperienza delle due Guerre mondiali aveva già fatto emergere per l’umanità la necessità di pensare in termini di cooperazione internazionale, portando alla nascita, prima, della Società delle Nazioni e, poi, dell’ONU. Purtroppo questi organismi così importanti per i destini del genere umano hanno parzialmente disatteso il loro ruolo di arbitrato per le controversie tra Stati e di promotori di una pace e giustizia mondiali durature, non riuscendo, la prima, ad evitare un’altra guerra planetaria e la seconda tante palesi e gravi disparità fra popoli, nonché inaccettabili violazioni dei diritti umani. Soprattutto nell’ultimo trentennio, dalla fine della contrapposizione dei blocchi politico-economici est/ovest, non è stato posto un freno alle spregiudicate manovre speculative finanziarie e politiche che hanno condotto al brutale ed illegittimo sfruttamento di risorse dei cosiddetti Paesi in via di sviluppo da parte di gruppi di interesse, nazionali e multinazionali, realizzando un piano di progressiva dispossesione, espropriazione, che ha determinato sanguinose guerre, dittature locali di ispirazione anche teocratica, livelli di povertà materiale, morale e culturale insostenibili, violenze inimmaginabili, recrudescenze del terrorismo, flussi migratori incontrollabili e, in ultima analisi, il collasso pressoché totale dell’intero sistema economico mondiale.

  • L’errore fondamentale, come già avvertiva Assagioli nel 1965, è stato quello di non voler considerare l’intero consesso mondiale come un reale organismo vivente, con tante entità ancorché storiche, politiche, sociali e culturali, le Nazioni, eminentemente psicologiche, di cui riconoscere le peculiarità, sia della personalità intesa come l’insieme dei tratti distintivi più evidenti di un popolo, che di quelli più profondi, che ne delineano la vera missione, cioè le qualità del Volkgeist, come le avrebbe definite Hegel, dell’anima di un popolo di cui fare dono al mondo per garantire un’armonica e proficua collaborazione fra Stati, alla stregua del corpo di un individuo alla cui salute i vari organi devono cooperare, assolvendo bene la propria funzione.

  • Illuminanti sono le parole del fisico e teorico dei sistemi, Fritijof Capra, rilasciata nel maggio del 2016 a Marco Dotti, in cui definisce le parole comunità, cooperazione e connessione, le chiavi della vita. Capra sostiene che la salvezza del Pianeta e degli uomini è affidata al recupero della consapevolezza che ogni sistema vivente ha sviluppato una serie di principi organizzativi che sono principi di comunità. Si potrebbe dire che la Natura sostiene l’uomo fornendo e nutrendo comunità. Cooperazione e sviluppo sono impresse nel codice sorgente della nostra forma di vita. Tutte le comunità intese in senso lato, che siano destinali, cioè dettate da fattori non volontari, come ad esempio l’insieme di persone che si trovano nella medesima condizione, ad esempio comunità rurali, abitanti di una stessa periferia, personale di una stessa struttura lavorativa, persone che hanno subito lo stesso disastro naturale, come alluvionati, terremotati, ecc. o che siano organizzazioni volontaristiche, non statali, come le Ong, le fondazioni private, quelle universitarie, quelle di familiari che hanno perso dei loro cari per malattie o per disgrazie, quelle che combattono le emarginazioni e difendono i diritti civili, seguono nel loro sviluppo il paradigma a rete mutuato dalla natura, esattamente come i più frequentati network odierni. L’idea fissa della crescita economica lineare con il sistema di forte competitività ad esso sotteso hanno creato stili malsani di vita. Ma neppure l’idea di decrescita sembra adatto al salto di paradigma che il contesto di recessione globale rende indispensabile e necessario.

  • L’economia, afferma Capra, è solo l’aspetto di un tessuto ecologico e sociale complessivo dal quale traspare una nuova visione d’insieme che sostiene una “qualitative growth”, una crescita qualitativa, a dispetto di cifre, rating, grafici di bilancio.

  • Se vogliamo preservare la vita dobbiamo tornare al senso di comunità, dobbiamo tornare alle relazioni umane, nutrirle, svilupparle. Dobbiamo sognare una economia nuova basata sulla reciprocità, sul dono, su quella attuale shadow economy, nascosta dalle statistiche ufficiali, che permette a uomini e donne di aiutarsi, di sentirsi meno soli, di assistersi, di parlarsi, di avere cura di sé e degli altri. Non si è verificato il punto di svolta preconizzato da Capra ne 1982, sebbene ci siano state le manifestazioni di protesta di Seattle contro l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il WTO, e nel 1999 cinquantamila persone di organizzazioni non governative hanno portato avanti una protesta pacifica, cambiando la consapevolezza dell’orizzonte politico della globalizzazione. Ma la storia, continua Capra, non segue un corso lineare, ma apparentemente caotico e complesso e ci sorprende sempre.
  • La sfida è capire come passare da un sistema ancora improntato da una visione di crescita illimitata ad uno di crescita ecologicamente sostenibile e socialmente equo. Non serve ostacolare la crescita o auspicare meno industria, meno consumi, meno tutto indiscriminatamente, ma promuovere un sistema di produzione che risponda ai reali bisogni degli esseri umani nelle diverse zone del pianeta, e non a quelli indotti da una produzione indiscriminata e bulimica che crea nel corpo dell’umanità gli stessi danni che una sovralimentazione errata o i desideri dannosi inculcati dalla pubblicità creano al corpo e alla psiche dell’individuo, secondo la visione filontogenetica, già individuata da Assagioli.

  • In un ecosistema c’è sempre qualcosa che cresce, qualcosa che decresce e muta, ma con lo scopo di aumentare la maturità e  l’efficienza, nonché migliorare l’ecosistema stesso. Questo tipo di crescita non lineare, sfaccettato e multiforme, è noto ai biologi e agli studiosi delle scienze naturali (e aggiungerei agli psicosintetisti), ma non è accettata dalle tradizionali interpretazioni sociologiche. Questo perché la cultura è ancora troppo parcellizzata, divisa tra infiniti tecnicismi e specialismi.
  • L’attuale crisi finanziaria globale ha reso ancora più evidente che i problemi di energia, ambiente, cambiamento climatico, sicurezza alimentare ed economica, povertà, guerre e terrorismo sono problemi sistemici, cioè interconnessi ed interdipendenti e devono essere affrontati non separatamente.
  • Le nuove tecnologie hanno un ruolo apparentemente ambivalente: aumentano la circolazione del danaro e dei titoli, secondo il modello finanziario che ha creato la crisi, ma al tempo stesso favoriscono la nascita di inedite solidarietà tra gruppi ed associazioni autonome che rivendicano uno sviluppo partecipato e sostenibile.

  • E proprio attraverso una maggiore connessione tra questi soggetti con la consapevolezza sempre più spiccata dei loro propositi e obiettivi, ricorrendo al paragone con il modello, per questi ultimi, della stella delle funzioni di Assagioli, alla stregua di un individuo che le deve coniugare tutte armonizzandole, si potrebbero ottenere risposte strabilianti a tante problematiche. Ogni associazione dovrebbe avere la consapevolezza del tipo di motivazione profonda e di obiettivo reale che l’ha portata in esistenza, ovvero se è stata dettata dell’impulso-desiderio di un episodio contingente, se dall’emozione di una prolungata situazione dolorosa e problematica, se da una finalità intellettuale o da una intuizione filantropica di ampio respiro. Quali meravigliose sinergie si creerebbero considerando le varie organizzazioni come un unico organismo che sa esprimere appieno tutte le proprie facoltà, con al centro del proprio essere il luminoso alone della Volontà di bene!

  • Un’economia, nel senso stretto del termine, di governo della Casa umana, deve uscire dall’ossessione istituzionalizzata della finanza e della competitività. Competere significa lottare per raggiungere un obiettivo, escludendo completamente l’altro concorrente. Cooperare significa mettere insieme mezzi, risorse e idee per conseguire tutti un vantaggio più ampio e più duraturo. Il pensiero deve essere globale, ma l’azione non può prescindere dalla concretezza dello spazio locale.

  • Il vecchio motto di Jacques Ellul, “Pensa globalmente, ma agisci localmente e responsabilmente”, è ridiventato di schiacciante attualità.
  •                             
                                                                                         Anna Manfredi
                                                                                Socia del Centro di Napoli


Pitagora

Presocratici

 Elefterios Diamantaras
Atene

La figura di Pitagora, filosofo, scienziato e legislatore, va inserita nel contesto storico della cultura del VI secolo A.C.
Il gruppo dei primi filosofi greci, comunemente chiamati presocratici, include

  
Parliamo ora di

PITAGORA DI SAMO


Cenni biografici

Figlio di un mercante di Tiro, Pitagora nacque a Samo nel 570 AC. Di famiglia sufficientemente agiata poté frequentare eccellenti maestri, i migliori cervelli del tempo: il musicista e poeta Ermodame, suo concittadino, gli scienziati Talete (ma appare poco credibile essendoci fra i due circa cinquant'anni di differenza) ed Anassimandro, entrambi di Mileto, e il filosofo moralista Biante di Priene. A diciotto anni fu affidato a Ferecide di Siro detto il Saggio che lo indusse ad indagare sulle leggi palesi ed occulte dei fenomeni naturali.
I due viaggiarono visitando Creta, le isole del mar Egeo e l'Asia Minore. Fu iniziato ai Misteri di Orfeo e di Demetra. Quando nel 548 AC il suo maestro morì,Pitagora, ancora adolescente, intraprese lunghi viaggi di studio. Giunse in  Egitto, meta comune dei saggi dell’antichità, quali Talete, Licurgo, Solone e Platone. Ebbe un’ottima accoglienza da parte del Faraone Amasis, a cui era stato segnalato da Policrate, tiranno di Samo. Fu iniziato ai Misteri di Iside ed Osiride. Si dice che vi abbia raggiunto i massimi gradi sacerdotali. Divenne esperto nella magia, nell’astronomia, nella geometria e nella scienza dei numeri. Soggiornò in Egitto per venti anni. Le truppe persiane di Cambise, che avevano invaso e devastato il fiorente e civile Egitto, lo catturarono e ne fecero uno schiavo di guerra
Dopo un lungo e drammatico viaggio attraverso il deserto, giunse a Babilonia ove fu tenuto prigioniero per dodici anni.
Lucio Apuleio, poeta, letterato latino ed iniziato ai sacri Misteri egizi, nella sua opera “Apologia” afferma che Pitagora ebbe contatti con i Gimnosofisti indiani [1]. Da questi certamente apprese la dottrina della trasmigrazione delle anime e della ruota delle esistenze (“Karma”).
Al suo ritorno a Samo creò una scuola per istruire i suoi concittadini. Il progetto fallì: ebbe un solo allievo, mentre la scuola locale per prostitute aveva molto successo. Abbandonò l’isola e giunse in Magna Grecia, sulla costa ionica, a Crotone. Qui fondò la sua Scuola Italica.

La scuola pitagorica di Crotone

Il più grande riconoscimento che la storia conferisce a Crotone, è la prolifica scuola pitagorica che il grande maestro greco fondò in una data stimata fra il 500 a.C. e il 600 a.C. Secondo la leggenda il filosofo e matematico scelse questa meta per il suo ateneo per volere divino. Proveniva da Delphi laddove la leggenda racconta che avesse interppellato l'oracolo.
Fu il Dio Apollo a predestinarlo a Crotone per trasmettere il suo sapere. Inoltre era a lui nota la cultura scientifica, medica, artistica e filosofica della città, e non ultimo il suo favorevole clima politico. Era infatti la tirannia a dilagare nelle altre città ioniche. Giunto a Crotone, Pitagora riuscì a guadagnarsi subito i favori del popolo grazie al suo sapere, che comunicava con orazioni pubbliche, su argomenti morali e sociali. Ottenne dalla città una magnifica costruzione all'interno delle mura cittadine, in marmo bianco, circondata da giardini e portici, destinata ad ospitare la sua Scuola.
La chiamò La Casa delle Muse. In questo nome si può dire che già ci fosse tutto il suo programma: le Muse erano divinità preposte alle Arti ed alle Scienze.
In questa scuola il maestro insegnò la sua sofìa,  di cui ricordiamo qualcuno dei punti salienti:
·       la metempsicosi, la teoria secondo cui l'anima vive anche dopo la morte corporea[2];
·       la dottrina escatologica, conseguente alla metempsicosi, secondo cui l'anima trasmigra in forme di vita diverse, anche animali e vegetali, perfezionandosi, fino a raggiungere Dio;
·       il dualismo, che pervade tutto il Cosmo [3];
·       la teoria secondo cui il numero è il principio di tutte le cose, fin quasi a costituire una specie di entità autonoma;
·       la costruzione dell'aritmetica in base 10 e
·       il suo famoso teorema. [4]
·       Introdusse la teoria dei contrari (limite, illimitato - pari, dispari - uno, molteplice - destro, sinistro - maschio, femmina - fermo, mosso - diritto, curvo - buono, cattivo - luce, tenebra - quadrato, rettangolo).
·       Secondo la tradizione, la scuola pitagorica sopravvisse al suo fondatore e contò più di 218 allievi maschi, che diffusero appassionatamente il suo pensiero ed il suo sapere scientifico in tutta la Grecia e la Magna Grecia.
·       Per secoli, anche dopo la caduta dell’Impero Romano, il Pitagorismo costituì gran parte della cultura di storici, letterati, poeti e governanti romani, oltre che dei Padri Cristiani.
·       Sempre la tradizione vuole che le pitagoriche più famose siano state 17 [5].


[1]  Erano degli iniziati, esperti in magia, matematica, astronomia e filosofia. Conducevano vita ascetica ed erano “scarsamente vestiti” (in greco: Gimnòs=Nudo).
[2]  Si tratta di una dottrina presente nei Misteri Orfici.
[3]  Con il termine Kosmòs  Pitagora intende l’ordine, l’equilibrio e l’armonia che pervadono e governano la Natura e l’Universo.
[4]  Il teorema dei quadrati del triangolo retto era già presente nella geometria dei Babilonesi e degli Indiani.
[5]  Ovviamente, Pitagora sosteneva l’assoluta parità dei sessi. Questa concezione è da considerarsi di origine egiziana. Per i Greci, invece, per i Romani, per gli Ebrei e gli altri popoli asiatici di cultura patriarcale la donna era priva di qualunque diritto: veniva considerata utile solo ai fini della riproduzione e del governo della casa.

LA STRUTTURA DELL’INSEGNAMENTO PITAGORICO


Dopo aver ascoltato le lezioni pubbliche, quelle per gli EXOTERICI, i candidati, sia uomini che donne, dopo un periodo di approfondita valutazione, venivano accettati a seguire un lungo periodo di noviziato (fino a cinque anni). Gli allievi, denominati ACUSMATICI, per i quali valeva il divieto assoluto di prendere la parola, apprendevano l’insegnamento del Maestro, che impartiva le sue lezioni nascosto da una leggera cortina. La loro istruzione riguardava esclusivamente argomenti di soggetto morale e sociale.
Il grado successivo è quello dei MATEMATICI, la cui formazione avveniva in presenza diretta del Maestro e riguardava soprattutto la Matematica, la Geometria, la Fisica e l’Astronomia.
Col terzo grado iniziava la Maestria degli ERMETISTI o SEBASTICI (Venerabili o Rispettabili), che venivano indottrinati su argomenti magici ed ermetici, nonché sulla cura delle malattie, anche mediante la magia.
Al quarto grado appartenevano i POLITICI. Ad essi venivano insegnati i segreti dell’armonia sociale, le basi di una legislazione ideale, la pratica della giustizia e l’interpretazione delle Leggi.
I politici si suddividevano in due Classi:
gli ECONOMICI ed i LEGISLATORI.


ETICA PITAGORICA


Nei "versi aurei" vi è una notevole parte dell'insegnamento etico Pitagorico. Essi non sono direttamente riferibili al filosofo, ma costituiscono una "summa" dei dogmi della "Scuola Italica". Ci sono stati trasmessi dai Pitagorici del periodo tardo che, spesso, ignorarono il divieto di porre per iscritto gli insegnamenti del Maestro.

¾ Venera innanzitutto gli Dei immortali e serba il giuramento.
¾ Onora poi i radiosi eroi divinificati e ai demoni sotterranei offri secondo il rito;
¾ Onora anche i genitori e a te chi per sangue sia più vicino;
¾ Degli altri, fatti amico chi per virtù è il migliore, imitandolo nel parlare con calma e nelle azioni utili. 
¾ Non adirarti con un amico per una sua colpa lieve, sinchè tu lo possa;
¾ Approfondisci lo studio di queste cose e queste altre domina: il ventre anzitutto e così pure sonno, sesso e collera;
¾ Non far cosa che sia turpe in faccia ad altri o a te stesso, ma, soprattutto, rispetta te stesso [1];
¾ Poi, esercita la giustizia con le opere e la parola;
¾ In ogni cosa, di agir senza riflettere perdi l'abitudine;
¾ Considera che per tutti è destino morire;
¾ Delle ricchezze e degli onori accetta ora il venire, ora il dipartirsi;
¾ Di quei mali, che per demoniaco destino toccano ai mortali, con animo calmo, senz'ira sopporta la tua parte pur alleviandoli, per quanto ti è dato: e ricordati che non estremi sono quelli riservati dalla Moira al saggio;
¾ Il parlare degli uomini può essere buono o cattivo; che esso non ti turbi, non permettere che ti distolga.
¾ E se mai venisse detta falsità, ad essa calmo opponiti. 



[1] Il Maestro riteneva importante non solo la cura della mente e dello spirito, ma anche quella del corpo. Egli stesso praticava regolari esercizi fisici. “Mens sana in corpore sano”: non si devono curare soltanto la mente o lo spirito, ma anche il corpo.
Il discorso etico non si esaurisce certamente con queste poche citazioni. Sono state riportate molte altre norme, non tutte di facile interpretazione, che regolavano, anche nei particolari, la vita quotidiana dell’adepto. Voglio ricordare soprattutto l’obbligo del silenzio sulle lezioni e sulla vita della comunità.
Era prescritto il rito mattutino del saluto al Sole. Erano obbligatorie le purificazioni con acqua di mare, o solo salata [1]. Erano obbligatori i pasti in comune. Era obbligatorio una specie di esame di coscienza (Psicostasia), quale strumento di valutazione del proprio livello etico e spirituale. Era vietato mangiare carne. Parimenti era vietato toccare o mangiare fave. Era obbligatorio il rispetto assoluto per qualunque forma vivente. Era vietata l’uccisione di animali.
Come già detto,  ai primi pitagorici era severamente vietato porre per iscritto gli insegnamenti del Maestro. La trasmissione della Sofìa avveniva esclusivamente  “da bocca ad orecchio”.
Ben più complesso sarebbe esporre, anche soltanto per sommi capi, la filosofia pitagorica.
Il contenuto del pensiero pitagorico è stato dedotto dalle opere di varia natura degli ultimi pitagorici (quelli del Terzo periodo, II Secolo dC).

LA TEORIA MUSICALE PITAGORICA

Giambico narra il seguente episodio.
Un giorno Pitagora passò di fronte all'officina di un fabbro, e si accorse che il suono dei martelli sulle incudini era a volte consonante, e a volte dissonante. Incuriosito, entrò nell'officina, si fece mostrare i martelli, e scoprì che quelli che risuonavano in consonanza avevano un preciso rapporto di peso.
Ad esempio, se uno dei martelli pesava il doppio dell'altro, essi producevano suoni distanti un'ottava. Se invece uno dei martelli pesava una volta e mezzo l'altro, essi producevano suoni distanti una quinta (l'intervallo fra il do e il sol). Tornato a casa, Pitagora fece alcuni esperimenti con nervi di bue in tensione, per vedere se qualche regola analoga valesse per i suoni generati da strumenti a corda, quali la lira.
Sorprendentemente, la regola era addirittura la stessa! Ad esempio, se una delle corde aveva lunghezza doppia dell'altra, esse producevano suoni distanti un'ottava. Se invece una delle corde era lunga una volta e mezzo l'altra, esse producevano suoni distanti una quinta.
In perfetto stile scientifico, dall'osservazione e dall'esperimento Pitagora dedusse la sua teoria della coincidenza di musica, matematica e natura. Più precisamente, egli suppose che ci fossero tre tipi di musica: quella strumentale propriamente detta, quella umana “suonata” dall'organismo, e quella mondana “suonata” dai cosmo. La sostanziale coincidenza delle tre musiche era responsabile, da un lato, dell'effetto emotivo prodotto per letterale risonanza dalla melodia sull'uomo, e, dall'altro, della possibilità di dedurre le leggi matematiche dell'universo da quelle musicali.
Poiché nelle leggi dell'armonia scoperte da Pitagora intervenivamo soltanto numeri frazionari, detti anche numeri razionali, i rapporti armonici corrispondevano perfettamente a rapporti numerici.
Pitagora enunciò la sua scoperta nella famosa massima: tutto è (numero) razionale.
Essa codifica la fede nella intelligibilità matematica della natura, ed è il presupposto metafisico dell'intera impresa scientifica dell’umanità, di cui Pitagora è stato appunto il padre fondatore.

Più precisamente, "ragione" non era altro che la capacità di esprimere concetti mediante un "rapporto" numerico, come testimonia l'uso dello stesso vocabolo per entrambi i termini, sia in greco (LOGOS) che in latino (RATIO). Poiché poi, per i greci, logos significava anche la "parola" stessa, il vocabolo finì per indicare la triplice coincidenza tra linguaggio, razionalità e matematica.

Dalla teoria musicale discende la teoria cosmologica pitagorica, il cui aspetto esoterico è stato tramandato da Platone nel difficile dialogo Timeo. Mediante misteriose costruzioni basate sui numeri 1, 2 e 3, che corrispondono ai rapporti numerici dell'ottava e della quinta, si arriva alla determinazione dei rapporti: armonici che regolano il moto dei pianeti. Il sistema solare è dunque visto come una lira a sette corde suonata da Apollo, in cui i pianeti producono i suoni che loro corrispondono, e che insieme costituiscono la musica delle sfere.
 L'aspetto esoterico del modello pitagorico rimase per secoli il punto di riferimento per la cosmologia, tanto che, ancora nel 1619, Keplero lo utilizzò nel suo strabiliante libro “L'armonia del mondo”.
In esso egli descrisse le leggi musicali che regolano il moto dei pianeti, specificando che nella sinfonia celeste Mercurio canta da soprano, Marte da tenore, Saturno e Giove da bassi, e la Terra e Venere da alti. E nella terza delle tre famose leggi di Keplero ricompare, miracolosamente, il rapporto di quinta. Il quadrato del periodo di rotazione di un pianeta attorno al Sole è infatti proporzionale al cubo della sua distanza da esso.
"In principio era la Ragione, e la Ragione era presso Dio, e la Ragione era Dio".
Così diremmo, se volessimo condividere l’analisi che il matematico Piergiorgio Odifreddi fa del pensiero pitagorico.
  

RITUALITA’ PITAGORICA


Il Fuoco è l’elemento obbligato di tutte le cerimonie rituali.
Esso costituisce il legame sottile e potente con le Forze Superiori.

Il Fuoco è da intendersi anche in senso figurato:
o   il fuoco del cuore,
o   il fuoco come Luce della Ragione che disfa le tenebre dell’ignoranza e della superstizione,
o   il fuoco come fraternità, sincerità e lealtà dei rapporti umani,
o   il fuoco come barriera insuperabile per le forze sotterranee,
o   il fuoco come strumento di evocazione magica.
Molte delle prescrizioni pitagoriche riguardano il Fuoco, sia in senso chiaro che in senso allegorico [1].

In sintesi, il Fuoco è il Principio di tutte le cose, come afferma Empedocle, filosofo ed allievo del Maestro.

I riti si celebravano dopo un’accurata purificazione lustrale con acqua di mare, oppure salata.


[1] Per esempio, era vietato “contaminarlo”  bruciando i cadaveri.

[1] La prassi della Purificazione, detta “Catartica”.  Veniva praticata nei Misteri di Zeus, a Creta.